Il Tango con gli occhi di un Argentino
Non si può parlare di Tango argentino senza ripensare all’incredibile ondata migratoria, composta principalmente da europei, che ha colpito l’Argentina a partire dai primi del ‘900, cambiandola per sempre. È in questo contesto di cambiamento e di contaminazione che il folklore argentino e la cultura gauchesca si fondono unendo strumenti, suoni e culture italiche, balcaniche est europee.
È in questo ambiente che prende vita il Tango argentino.
Un genere musicale e di ballo, che nasce e si sviluppa a Buenos Aires, nei sobborghi di una città che ancora non capiva se stessa e il modo in cui stava cambiando.
Diventa la musica di strada, la musica dei bordelli, il ballo proibito dei delinquenti e dei poco di buono.
Il ballo della notte.
Una notte che un tempo non aveva il fascino glam che ha ora, perchè una volta la notte non era il luogo degli eletti, ma il posto dei reietti.
Il Tango era forse quello che poi sono stati l’hip-hop, il raggaeton, la cumbia. Generi musicali del popolo.
La voce e le movenze dei perdenti della società.
L’orgoglio degli ultimi sbattuto in faccia ai ricchi e ai potenti. Ai primi.
Non sono rari Tangos ambientati in squallide case da appuntamento, che hanno come protagonisti ladri o prostitute.
Orgoglio, abbiamo detto. Ma nella ricetta del Tango l’ingrediente principale è la nostalgia.
Un Tango è nostalgico, sempre.
Perchè il Tango è l’espressione di un sentimento imponente che nasceva dalla sofferenza.
Nasceva da chi è lontano dalla propria casa e dalla propria famiglia, dove l’unica compagna era l’amara consapevolezza dell’impossibilità del ritorno.
Perchè a quel tempo chi partiva lo faceva per non ritornare. E addio era una parola che aveva un peso. Assoluto.
Nasceva da chi è escluso da una società in cui aveva riposto le proprie speranze, da un criminale o da una puttana.
Nasceva da chi negli occhi mantiene sempre quella patina di dolore e di nostalgia.
Velata magari, ma sempre presente.
Via via poi si è imborghesito, è diventato chic, elegante, fino a diventare un genere di nicchia. Quasi aristocratico.
E fa quasi sorridere se pensiamo all’origine che ha avuto.
Spesso mi chiedono cosa sia il Tango per un argentino.
Il Tango È l’Argentina. Più della pampa, più del gaucho, più della terra del fuoco. Più di Maradona.
Il Tango non è cantare, è recitare.
Il Tango non è ballare, è scopare.
Non è stare attaccati, è fondersi l’uno nell’altro.
È un bar fumoso pieno di ubriachi e puttane.
È il migrante che in quel bar trova conforto, perchè ha lasciato tutta la sua famiglia e sa che non la rivedrà mai più.
Il Tango è il delinquente che ti sorprende scrivendo frasi meravigliose e immortali.
Il Tango è dolore, è nazionalismo. È furbizia.
Il Tango Argentino è mio Padre che mi dice «il Tango lo capirai solo intorno ai 30 anni». Il Tango è sangue, sudore, è il profumo di una donna che non conosci che ti balla addosso, è oblio.
È sospendere la propria vita e la propria sofferenza per un attimo lungo una canzone.
Il Tango è trattenere le lacrime che ti muoiono dentro.
Il Tango è sessualità inespressa, mantenuta.
È la più profonda intimità che si possa raggiungere con il ballo.
Il Tango è diventare per un momento eroi, in quel bar fumoso.
Il Tango è una linea retta. Tesa all’infinito.
La massima espressione della sensualità prima che diventi volgare.
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